VIRIDIS
fotografie del Collettivo TIFF
a cura di Fulvio Guerrieri
Viridis
(Mostra fotografica inserita all'interno del festival INTERNO VERDE PIACENZA incentrata sulla necessità e i limiti del verde urbano.
L'esposizione sarà integrata a una cornice di verde naturale, appositamente creata e offerta da AGRICENTER PIACENZA)
Il regista Ridley Scott nel film Blade Runner presenta una Los Angeles del futuro inquietante e claustrofobica attraverso una scenografia retro-futurista assolutamente priva di vegetazione. La tensione cyberpunk finisce quando Deckard e l’androide Racheal sorvolano verdeggianti montagne. Questo happy ending esemplifica plasticamente quanto “il verde” sia funzionale per uscire dall’incubo. Non possiamo considerare questo finale come una semplice metafora ma obiettivamente sensoriale. Nel senso che l’escamotage narrativo è efficace per provocare realmente nello spettatore un radicale cambio di sensazione: l’assenza di verde causa in genere un senso di perdita, una effettiva mancanza, una risonanza ancestrale negata. Con buona pace dei cultori del cyberpunck e di certe atmosfere culturali underground anni ottanta è indubbio che le città prive di verde non sono, nel ventunesimo secolo, auspicabili. In ogni caso l’uomo ha un legame primigenio con la vegetazione e da tempo immemorabile inserisce nei propri insediamenti urbani piante e giardini. Gli esempi storici sono tantissimi, possiamo citare a caso i giardini pensili Babilonesi, quelli zen nati nel VIII secolo in Giappone, quelli rinascimentali del Palazzo Ducale a Urbino, Versailles, la Reggia di Caserta, i parchi londinesi, per non parlare della trasformazione di Parigi nella seconda metà dell’ottocento da parte di Haussmann dove l’idea di modernizzazione della città prevedeva l’inserimento nel tessuto urbano di parchi e viali alberati. In origine l’idea di inserire il verde nell’abitato era soprattutto relativa alla sfera estetica o di fruizione privata (la caccia per esempio). Pertanto la magnificenza dei giardini o dei parchi risultava essere funzionale e proporzionale alla magnificenza dei nobili e dei benestanti. In Europa solo con Carlo I d’Inghilterra si apre al popolo la possibilità di fruizione (1637 Hyde Park) e con Haussmann si definisce progettualmente l’inserimento del verde nella soluzione urbanistica della “Ville Lumière”. Questa metamorfosi è importante in quanto viatico verso la modernità che in prospettiva storica ci porta alla situazione attuale con tutte le implicazioni di carattere sociale e di rapporto – anche politico – con la città e le istituzioni. Se per tutto il XX secolo il verde cittadino era un abbellimento e un necessario luogo benefico, attualmente la nuova coscienza ecologica modifica ulteriormente il rapporto con l’urbanistica verde dell’abitato. D’altra parte numerose periferie – e non solo – di molte città italiane rimandano alle atmosfere retrofuturiste di Blade Runner, e, in certi casi, i parchi non sono altro che luoghi di spaccio o recessi di attività criminali. In ogni caso le persone subiscono l’impatto con l’architettura e gli spazi urbani, compreso la presenza o l’assenza della vegetazione, ed è questo l’oggetto della mostra. In sostanza si vuole evidenziare il rapporto che intercorre attualmente tra il verde cittadino e le persone, o tra il verde e le costruzioni. E la fotografia questo rapporto può e deve cogliere, o meglio suggerire, o meglio ancora “costruire una visione” pur riferendosi solo ed esclusivamente al reale. L’ intento è quello di cercare un “punctum” che esuli dalla tentazione di facili contestazioni a favore di una ricerca visiva che colga l’aspetto antropizzato degli alberi, dei prati, dei fiori e dei parchi cittadini in contesti sia pubblici che privati. Che colga l’impossibilità di far convivere il verde delle città, costretto entro l’ordine che il decoro urbano esige, e una coscienza ecologica che possa svincolarsi dalle logiche umane di utilizzo coatto entro barriere e normative definite. In sintesi una presa d’atto documentale della dicotomia tra necessità e limite, tra assenza e presenza, tra indifferenza e sensibilità.
Fulvio Guerrieri